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I miei primi viaggi a New York negli anni 70. Tra gli anni settanta e ottanta ho visitato New York varie volte e, anche se adoravo San Francisco, la facilità di raggiungere New York ebbe la meglio. Da Malpensa partivano voli giornalieri operati da Alitalia. Compagnia aerea che negli anni settanta era classificata  7° al mondo. Bei tempi per l’Italia dei cieli. Per gli Stati Uniti volava TWA-Trans World Airlines importante compagnia aerea che operava voli in tutto il mondo, fino al 1973 aveva un volo che con vari scali faceva il giro del mondo. gli ultimi scali erano Atene-Roma-New York. La New York negli anni 70 - Io a Times Square negli anni 70grandeur di New York negli anni ’70 era, come oggi, irresistibile anche se Times Square, già famosa, non era così affollata e soprattutto non era piena di luci. C’erano alcuni semplici cartelloni pubblicitari come potete vedere dalla mia vecchia foto sbiadita mentre, l’immagine sotto rende bene l’idea dei cambiamenti. New York negli anni 70 era già da guardare con il naso all’insù. La sua bellezza era proprio nei grattacieli che si specchiavano gli uni negli altri.

In mezzo resistevano ancora degli edifici di piccole dimensioni ma, ad ogni visita ne trovavo qualcuno in demolizione per costruirne uno ben più alto.      I cambiamenti erano molto veloci non solo per gli edifici ma anche per i locali. Fatti salvi alcuni ristoranti storici si poteva trovare un posto molto gradevole per un pranzo e l’anno dopo non ce n’era più traccia. La città cambiava rapidamente e, anche se io ci facevo un salto almeno due

New York negli anni 70-Times Square oggi

volte all’anno, non era facile trovare le cose al loro posto. Nella New York degli anni 70 c’era sola un’ ampia zona di  Manhattan altamente sconsigliata perché pericolosa: Harlem. Durante una visita alla Grande Mela con Giovanna e Ravi, forte della loro presenza, decidemmo di visitarla. Dopo molte valutazioni decidemmo di andarci di domenica mattina quando la città era abbastanza addormentata. Il programma consisteva nel prendere un autobus che attraversava tutta Harlem e poi tornava indietro e noi decidemmo di prenderlo senza mai scendere neppure al capolinea.

Tuttavia a metà percorso, quando ormai non c’era più un solo bianco in giro, alla fermata davanti a un bar, l’autista dell’autobus scese ed entrò nel bar. Dopo un attimo di smarrimento ci guardammo attorno ed eravamo rimasti gli unici passeggeri e dell’autista più nulla. Cominciammo a farci prendere dal panico e Ravi si spostò sul fondo lasciandoci sole. Inutile pregarlo di spostarsi vicino a noi per proteggerci, lui niente, ci disse “è meglio così”. Io e Giovanna ormai nel panico cominciammo a fare le peggiori supposizioni: “l’autista ha avvertito dei complici nel bar e adesso verranno a derubarci di tutto”. Deciso che questo era il nostro destino decidemmo di nascondere tutto il possibile, ovviamente nelle parti meno esposte: mutande e reggiseno. Quindi prima i soldi, poi gli anelli e l’orologio, il tutto con la massima nonchalance, in modo che, se saliva qualcuno, ci vedesse praticamente immobili. Terminata questa operazione eravamo ormai preparate al peggio. A quel punto, sale un nuovo autista e il pullman riparte. Un po’ rasserenate e speranzose di averla fatta franca arriviamo al capolinea. Qui l’ambiente era decisamente migliore, caseggiati di mattoni di recente costruzione, aiuole e alberelli piantati da poco, non un’anima in giro. Tuttavia ligi al nostro programma restammo sull’autobus, ma arrivò un autista e ci disse di salire su quello davanti che sarebbe partito a minuti. Ringraziammo ma rifiutammo decisamente, ma lui, ci ordinò di scendere perché il nostro autobus avrebbe fatto una lunga sosta e non potevamo rimanere a bordo. A malincuore seguimmo la direttiva, e fu un gran bene, perché in quel momento ci rendemmo conto che i finestrini degli autobus erano oscurati. Nessuno poteva vedere chi era a bordo e quindi tutti i nostri patemi, i commenti su come ci stava guardando con fare sospettoso un tizio piuttosto che l’altro, non erano che frutto della nostra fantasia, non eravamo mai stati in pericolo.

Questa è una delle tante storie vissute a New York, col senno di poi la trovo molto divertente perché dimostra che le nostre paure sono spesso infondate e frutto della non conoscenza, per non dire fantasia.

New-York-negli-anni-70-Io-al-Rockefeller-Center

Comunque New York era un paradiso per lo shopping, visitare Macy’s era come per un bambino entrare nel mondo fatato di FAO Schwarz. Uno dei miei riferimenti per lo shopping era il Triestino, un magazzino vicino al porto, zona degradata ma nota fra i dipendenti di compagnie aeree. Il Triestino vendeva un po’ di tutto  a prezzi veramente bassi: Samsonite, occhiali Dior, penne Cross, asciugamani in spugna introvabili in Italia, e molto altro. A farsi bene i conti in tasca, con lo shopping nel magazzino del Triestino,  un ebreo americano che con Trieste non aveva nulla a che vedere, si risparmiava abbastanza da pagarsi il soggiorno. Ma le cose per cui “dovevo” regolarmente andare a New York erano: dentifricio, deodorante, shampoo e balsamo. Questi prodotti, di eccellente qualità, non si trovavano in Italia. Per anni mi sono rifornita negli Stati Uniti.

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